E’ iniziata l’estate e vedo tanti ragazzi in giro per le feste di paese, al mare o all’ombra di una pianta in un parco (forse stanno spacciando).
Mi illudo che esista ancora un sentimento di aggregazione, anche nelle nuove generazioni.
Ma se guardo con occhio più attento le dinamiche del gruppo, vedo visi illuminati da una luce artificiale che riflette parole senza peso, effimere ma taglienti.
Altri ragazzi rinunciano ad uscire di casa, si rivoltano nel proprio letto senza una meta, sbattuti come un sacco da boxe sotto i colpi di un costante rimuginio.
A noi, bastava una spiaggia pubblica, la pizza nel cartone, una chitarra scordata e un coro che fa “Io, vagabondo che sono ioooooooh”. E se rimanevamo a casa, si accendeva la playstation o si guardava una puntata di “Giochi senza Frontiere”.
Noi non avevamo nulla di vagabondo: il rientro a casa entro una certa ora, la cena in cucina senza TV, il letto fatto e una vita comoda.
Loro, i nostri figli adolescenti, sono veri vagabondi. Non hanno più un tetto, che li protegga dalla società del giudizio, un pavimento per porre le basi di un futuro concreto, una fonte di acqua pura per alimentare un benessere fisico, ma soprattutto psicologico.
Non è solo un problema di cellulari e Social Network, come ha scritto benissimo
in questo articolo che vi consiglio di leggere.La questione è che essere adolescente in questo periodo storico è il mestiere più difficile del mondo. A seguire, quello del genitore di un adolescente.
Chi sono io per dirlo? Nessuno. Mi alleno a guardarmi intorno, perchè fra poco mi ritroverò in questa situazione e dubito che la china inverta la direzione a favore mio e delle mie figlie.
Consentimi un minimo di contesto.
Stare in disparte
Per informarmi sull’argomento sono caduto in un sito dedicato al fenomeno degli Hikikomori, che ti consiglio di perlustrare a fondo.
Riprendo la definizione:
"Hikikomori" è un termine giapponese che significa letteralmente "stare in disparte" e viene utilizzato in gergo per riferirsi a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria abitazione, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori.
Studi dell’Istituto Superiore della Sanità e del CNR hanno stimato che nella fascia di età, 11-17 anni, si possano contare circa 100.000 hikikomori. Allargando la forchetta dell’età - perchè ricordo che questo fenomeno non è legato solo ai ragazzi - i numeri potrebbero rapidamente raddoppiare.
Non farò il solito articolo didascalico che potete trovare su Internet o chiedere a ChatGPT.
Ho deciso di impersonificare un hikikomori, lascio a te il dubbio se lo sia/sia stato oppure no: usala come una lente per capire se anche tu o uno dei tuoi figli mostri questi tratti.
Pronto alla trasformazione? Via.
Buio totale
Mi butto sul letto ancora disfatto, guardo in alto e vedo le figurine dei giocatori appiccicate alla parete di legno. Vorrei tornare a quel momento, in cui non avevo altri pensieri se non scambiare le doppie. Indosso le cuffie e avvio Spotify - ah se potessi avere la versione Premium come Serena. D’altronde Lei ha tutto, lo vedo dalle sue Stories, e io?
Scrollo un pò il feed: Mario che sorride con Francesca, un tramonto a Formentera della Ferragni, un annuncio per quella maglietta scontata ma che tanto poi non mi starà così bene e non mi cambierà di certo la vita. Fammi chiudere, va.
Ho sonno e sono stancә, eppure non ho fatto niente di che. I muscoli sono indolenziti, non credo che oggi andrò a fare la spesa, raccatterò qualcosa dal frigo. Sono stufә di quelli che mi dicono che sono magrә, che bisogna mangiare, ma non troppo altrimenti sei grassә.
Ma perchè non mi viene in mente un’idea geniale? Guarda questi sfigati che fanno gli stupidi su TikTok. E io che mi chino nove mesi sui libri per fare cosa? Il dipendente come i miei, per correre a timbrare il cartellino, farsi comandare a bacchetta e aspettare che arrivi il venerdì, come se fosse la panacea di tutti i mali. Tanto sarò ancora chiusә qui, perchè là fuori non c’è nessuno che mi capisca, non c’è niente che mi soddisfi, perchè non so cosa voglio, perchè sono un casino, perchè sono una matassa di fili aggrovigliati e non so da dove partire per ritrovare un pò di fiato. E rivedere quei colori, perchè oggi, come ieri e domani, è tutto dannatamente grigio.
Se penso che anche stanotte non chiuderò occhio, mi sento male. Vorrei qualche ora di riposo da me stessә, una carta di “Salta un turno” dai miei pensieri. E l’idea che domani si ricominci dall’inizio: io, in questo letto, le figurine, le cuffie e la luce del cellulare. Fuori c’è il sole, ma non me ne accorgo. E’ più rassicurante l’abbraccio di questo buio, quattro pareti mi proteggeranno. Dalle prese in giro di quegli stronzetti - ma non ho la forza per ribellarmi - dal “te l’avevo detto” di quei rompipalle dei miei, dall’ennesima conferma di non essere in grado di portare a termine niente, dal fatto che tanto là fuori non c’è nessuno che mi aspetta e nessuno a cui manco.
Schiaccio Play per non pensare.
🎵🎵 E tu che ringrazi mille volte il cameriere per il pane
Insegnami a sorridere alla vita pure quando sono solo come un cane🎵🎵
Dura, eh?
Spero di non averti spaventato.
Tutte le persone che combattono una battaglia con loro stessi dicono che nessuno può capirli, se non qualcuno che ci è passato.
Credo sia vero. La potenzialità, in positivo e in negativo, della nostra psiche o mente - ci sarebbero da scrivere pagine sulle differenze - è enorme. E’ come un’arma nucleare nelle nostre mani: non sempre siamo noi a decidere di schiacciare o meno il bottone ed alcune deflagrazioni partono a sorpresa, nel bene e nel male.
E lo spettatore (genitore, figlio o amico), che fa?
Agisce, cercando di aiutare con le armi che presume di avere o sta in disparte, pensando di arrecare ancora più danni?
Ritornando un attimo in modalità hikikomori, mi piacerebbe che qualcuno si sedesse in silenzio vicino a me. Qualcuno che non si sentisse in obbligo di coprire i silenzi con parole di circostanza. Qualcuno che ad un mio piccolo gesto, fosse così attento da cogliere l’occasione di farmi uscire dal guscio. Qualcuno che si offrisse di portarmi a fare il giro dell’isolato, con le gambe tremolanti e con le vertigini di chi non è più abituato ad incrociare tante persone. Qualcuno che cucinasse il mio piatto preferito per farmi tornare l’appetito. Qualcuno che invitasse gli amici che non ho più la capacità di ricevere. Qualcuno che mi dicesse “ce la farai, e se così non fosse, io sarò qui”.
Io ho avuto quel qualcuno.
Ora mi piacerebbe essere quel qualcuno, se ce ne fosse bisogno.
Alla prossima (magari meno pesante e più estiva)!
Lo sapevi che?
In questa newsletter ho usato per la prima volta la convenzione “ә”. Ma che cos’è?
Presente anche nell’alfabeto fonetico internazionale, è una piccola ‘e’ rovesciata (ә) che viene proposta come soluzione per superare il cosiddetto binarismo di genere. Secondo gli studiosi è dunque il momento di abbandonare l'asterisco (*) o la chiocciola (@) quando non si vuole declinare al maschile o al femminile evitando di escludere chi non si riconosce in uno dei due generi.
Ritorno alle origini
Centotredici (113) persone ricevono la newsletter di Genitori Instabili (la metà, la legge pure!). Per festeggiare questo
piccologrande traguardo, ecco da dove sono partito.
Ottimo suggerimento, Luca, quello dell'impersonificazione...
PS Domani rimanderò proprio a questa tua puntata, nelle mie Lettere, perché ho affrontato una questione che - sul versante scolastico - è molto affine. Grazie per avere scritto quello che hai scritto!