L’inizio della scuola elementare è una pietra miliare nel percorso di crescita di ogni figlio.
In realtà, anche di ogni genitore, nonostante tutta l’attenzione sia focalizzata sul bambino, sulla nuova avventura, sull’impatto con un nuovo contesto fisico ed umano.
Ma sullo sfondo ci siamo sempre noi, a guardarli distaccarsi; proviamo a portare il loro zaino qualche metro più avanti, a incrociare il loro sguardo impaurito contraccambiandolo con il nostro commosso, a far finta di essere contentissimi della loro crescita, quando vorremmo tornare al primo giorno di asilo.
Come vedi, l’ho vissuta molto bene. Ecco il motivo per cui, questa settimana, ti becchi questo racconto.
Siediti comodo, magari si ride anche.
Niente ansia
L’incontro con il dirigente scolastico, e tutto il corpo docenti, pochi giorni prima l’inizio della scuola, è stato illuminante.
L’ho affrontato con la serenità di un inviato del TG1 in Russia, con pochi obiettivi ma chiari: non farsi notare, ascoltare con attenzione e studiare i tratti psicologici degli insegnanti.
La direttrice è stata breve e coincisa, perché aveva scartoffie da sbrigare; il suo discorso si può riassumere in un benevolo:
NIENTE ANSIAAAAAAAH
Io con il mio quadernetto ad anelli ero alla quarta pagina di appunti con, a margine, una serie di dubbi che ho deciso di tenere per me.
Gli altri genitori sembravano più sereni: chi al secondo figlio, chi si assicurava che qualcuno sapesse siringare il pargolo in caso di shock anafilattico chi, madre di cinque creature, comunicava che avrebbe lasciato al caso la persona designata al prelievo della figlia all’uscita, non contemplando la dinamica delle deleghe e dei rapimenti.
Comunque, niente ansia: concetto recepito.
Arrivato a casa, ho stilato un verbale in Word carattere 11 Arial, da cui ho tratto una checklist con attività prioritarie e loro dipendenze, assegnando a ciascuna un responsabile (la mamma).
Dopo di che sono passato agli aspetti tecnologici, il mio forte. Scaricare l’App per il registro di classe, con un piccolo problema facilmente superabile: non avevamo utente e password.
Nella mia testa si ripeteva un mantra personalizzato: niente ansia, niente ansia, niente ansia.
Notte prima del primo giorno
Volevo rendere speciale l’attesa di questo nuovo inizio, quindi ho deciso di istituire una tradizione prima di ogni inizio di anno scolastico: cibo spazzatura e cartone animato lungo.
Questa combinazione mi garantiva anche un bel lasciapassare: a letto presto, ché domani si inizia. Ma soprattutto dovevo avere il tempo di ripassare la presenza di tutto il necessaire per il primo giorno, nonostante avesse già preparato tutto la mamma.
Niente ansia, dicevo.
Zaino, Diario, Astuccio, Cartellina di plastica per gli avvisi, borraccia, merenda, due quadernoni a quadretti 1 cm con copertine colorate con colori a scelta ma solo per la prima volta, sacca per la ginnastica, sacca con un ricambio, vestiti a cipolla, ombrello, deleghe.
Tutto pronto, tranne me.
Si entra in scena
Hai presente quando vai ad un matrimonio in cui piove, ma rassicuri gli sposi dicendo matrimonio bagnato, matrimonio fortunato? Beh, non ci crede nessuno.
E così, ad aggiungere adrenalina a questa giornata già pregna di emozione, un monsone si è abbattuto sulla nostra cittadina, con un picco proprio nell’intorno dell’orario di ingresso.
Una schiera di genitori, figli e trolley ammassati sotto una tettoia con lauto anticipo rispetto all’apertura si guardavano reciprocamente con smarrimento: bambini adrenalinici compensavano quelli attaccati ai pantaloni genitoriali; mamme e papà che si squadravano per capire etnia, ceto sociale, look e potenziale grado di rottura di palle nel gruppo di WhatsApp.
Smarco subito la questione etnia, perché siamo genitori instabili, sì, ma moderni. Sono passati 35 anni abbondanti dal mio primo giorno di scuola e lo scenario geopolitico è leggermente cambiato.
Il fatto che i nostri figli - in maniera trasparente e naturale - vivano in una realtà cosmopolita e variegata, li proietta nel mondo che stanno già vivendo, senza i nostri stereotipi da adulti, cresciuti secondo canoni, convenzioni e indirizzamenti politici arcaici e spesso fuori luogo.
Aperti i cancelli, è stato tutto un pò confusionario. Figlia Grande cercava la mia mano o quella della mamma, noi la guidavamo senza essere troppo presenti ma manco menefreghisti per facilitare il successivo rilascio. Bene o male eravamo tutti nella stessa situazione.
A stemperare il tutto, un bellissimo coro di tutti i bambini delle altre classi ha accolto i nuovi arrivati e i genitori. Praticamente come quando sei l’attore principale in una prima a teatro, ti sparano l’occhio di bue intorno alla tua figura e rimani lì, inebetito. Scelta discutibile, ma sicuramente presente nei manuali del MIUR.
I bambini sono impietriti, mentre io inizio a sentire quel groppo in gola che di solito si trasforma in commozione, per non dire pianto a dirotto.
Accompagniamo poi i figli in classe, affiorano ricordi che pensavi di aver cancellato e seguiamo il flusso degli eventi senza interferire troppo, se non aiutando ad incastrare un trolley, che manco Paris Hilton ai tempi d’oro, in uno spazio risicato tra due banchi.
Pollici alti per il banco capitato: una onesta terza fila, vicino alla finestra, con a fianco un ragazzino con i tratti somatici dell’India. Lasciamo a casa gli stereotipi, dicevo, ma pare che sulle rive del Gange siano bravi in matematica, quindi mi sembra un bel colpo!
Sembra tutto finito, senza traumi apparenti, quando una voce di una delle maestre ci invita a recarci nuovamente nell’atrio principale, per un gioco volto a conoscerci meglio.
Ma perchè dobbiamo sempre alzare l’asticella?!
I bambini si stringono seduti in cerchio e noi genitori, in piedi, poco dietro. Afferiamo un telone da circo con un buco nel mezzo, da cui, una alla volta, spunterà una testa di un bambino che dirà il suo nome. Al genitore spetta una breve descrizione del figlio/a. Una scena che ricorda il parto, senza la gente che parla. In qualche modo, può avere un senso.
Fantastico, penso io, la cosa importante è non essere il primo e poi copiare dagli altri.
Ti lascio indovinare di chi sia la prima testa spuntata da quel buco. La più timida bambina della storia, quella che fino a pochi minuti prima mi stritolava la mano, tira fuori la testa e dice il suo nome. Era Figlia Grande.
Con un ritardo simile a quello dell’autotune nell’ultimo concerto di Fedez, parto con una descrizione raffazzonata.
Figlia Grande è una bambina allegra e le piace la ginnastica ritmica.
Ho i battiti un pò alti, ma mantengo una stazione eretta e fiera del fatto che quella che ritenevo una creatura di cristallo, in pochi secondi, si è trasformata in una macchina da guerra spodestando altri venti bambini e, con un coraggio che a me manca a quarant’anni, ha aperto le danze. Che sorpresa.
Sarà mica che ci facciamo un’immagine dei figli che ricalca la nostra alla loro età, gliela appiccichiamo sopra e pensiamo che siano una versione più piccola e moderna di noi?!
E’ un problema solo mio?
Cosa ho imparato?
Chiudo, che sono andato lungo.
Anche questo evento della vita di mia figlia mi ha insegnato tante cose:
I figli sono delle versioni molto più sofisticate di noi. Per quanto pensiamo di conoscerli, ci stupiranno sempre. Diamo loro fiducia, non sempre hanno così troppo bisogno di noi. Per quanto questo ci possa ferire.
Alla riunione avevo un pò di diffidenza verso i genitori “non italiani”. Grosso limite mio, lo ammetto. Quando all’entrata ho visto i loro bimbi, sono stato inondato da una naturalezza e da una somiglianza, tale da non vedere alcuna differenza fisica o somatica. E se applicassi meglio questo filtro anche con gli adulti?
Per quanto abbia preso in giro l’accoglienza delle maestre, ho visto tanta attenzione all’aspetto emotivo e relazionale dei bambini. Credo sia un mestiere molto difficile e con un grande impatto sui nostri figli. Tratterò loro con massimo rispetto, sempre.
Ho un problema (fosse, solo uno 😊 ): penso ancora troppo che le mie azioni e comportamenti siano gli unici strumenti che plasmino, nel bene e nel male, le mie figlie. Per fortuna non è così, perché altrimenti non sarebbe uscita per prima da qual buco. Continuerò a fare quello che ritengo il mio meglio per il suo meglio, ma voglio alleggerirmi di alcuni oneri di cui mi sono preso un carico che non mi spetta.
E’ stato un buon primo giorno.
Anche per me, genitore molto più instabile del solito.
Se avete voglia di raccontarmi il vostro primo giorno, rispondete a questa mail o commentate questo post.
Alla prossima.
Oh Luca... Io sono stata milioni di volte più in ansia nei "primi giorni" delle mie figlie che non nel momento (che si ripete ad ogni settembre) in cui accompagno in classe i miei 'nuovi'. Però ricordo sempre le parole di Davide Rondoni, il poeta, con le quali descrive lo sguardo dei genitori che lasciano - per la prima volta davvero - che il loro figlio/la loro figlia vada in un posto dove loro non potranno mai essere... Rimane - pur nella sofferenza e nostalgia del momento - affascinante e misterioso, quell'assistere al diventare 'altro da sé' dei nostri figli.
Grazie per la tua testimonianza, che dimostra come abbiamo tutti così tanto bisogno di una VERA alleanza tra scuola e famiglia.
Ma cosa posso aggiungere se non che sulla canzone cantata dai bambini il groppo si è sciolto e mi son fatta un piantino. Celato alla grande dagli occhiali a specchio. 🤪